Quentin Tarantino aveva inserito questo film nella lista delle sue pellicole preferite del 2010 specificando che a colpirlo erano stati in particolare i titoli di testa (“Hands down best credit scene of the year… Maybe best credit scene of the decade. One of the greatest in cinema history”), questi vengono sparaflashati a raffica e dopo soli due minuti di visione hanno scavato nel nostro nervo ottico un tunnel diretto verso il cervello: sarà la vena attraverso la quale ci inietteremo della droga visiva.
Lo stordimento arriva subito con una dose sparata in solitaria dal nostro protagonista nel suo piccolo appartamento a Tokio. È il giovane Oscar, viene dalla Germania e ora spaccia in un quartiere della metropoli giapponese. Lui è il nostro corpo, il nostro punto di osservazione.
Indosseremo Oscar per "calarci" nella parte e nel vero sballo, quello soprannaturale, che sopraggiunge dopo aver fatto conoscenza con gli altri personaggi e dopo aver nominato il libro che gli ha prestato un amico e sta leggendo con passione, è Il libro tibetano dei morti. Quello è l'oggetto evocativo intorno al quale è concepita la successiva esperienza, si tratterà del viaggio dell'anima dopo la morte, un'odissea post-vita dove, allo stato di Bardo, Oscar planerà drammaticamente su tempo e spazio in attesa della rinascita.
Entrate nel vuoto! Fluttuate, fatevi stordire, resistete al senso di nausea, anche quando il film eccede, diventa pornografia visiva e anche quando potrebbe finire, ma non si ferma.
D'altra parte non puoi arrestare il trip. Ti vuole portare dallo sfinimento alla catarsi, per raggiungere un nuovo stato di allucinazione dove le immagini sfocano e i soggetti diventano luce; finalmente siamo "illuminati", possiamo dissolverci.
Enter the void è un'esperienza, un film stupefacente. Deliziato