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venerdì 31 maggio 2013

Cave of forgotten dreams

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Scoperte nel 1994 e rinascoste subito al mondo, sono le pitture rupestri della grotta di Chauvet-Pont-d’Arc (Francia). Fino al 2010, quando Werner Herzog ha girato questo film in 3D per testimoniare e rendere pubbliche quelle che si ritengono fra le più antiche tracce “artistiche” lasciate dall’uomo.
L’ingresso della caverna è chiuso da una stretta porta di metallo per preservare i valori di umidità che hanno permesso lo stato di conservazione delle pitture, una condizione verificatasi grazie ad una frana che aveva funzionato da sigillante. Il tempo concesso ad Herzog per riprenderle è stato limitato, come il tragitto percorribile all’interno dell’antro e al tipo di illuminazione da usare, eppure il regista è riuscito a collegare quelli che, per me, sono scarabocchi su un muro, ma che lui vede quasi come scene da cinema, a tematiche più generali su arte, ambiente e storia dell’uomo.
Un po’ stride sentire le interviste molto pratiche degli addetti ai lavori, con l’atmosfera da mito che Herzog costruisce intorno a quelle pitture. Il regista si domanda cosa provassero quelle persone mentre si spostavano in quei territori, cosa li abbia spinti a lasciare quei segni e a quali scopi venisse usata quella caverna. Nelle zampe dei rinoceronti e nei musi di cavalli raffigurati, Herzog vede l’idea di movimento, in profili stilizzati la nascita dell’arte e il bisogno arcaico dell’uomo di esprimersi. Quelle mura parlano, si animano, sembrano attraversate da spiriti che vogliono dire qualcosa. C’è la delicatezza della presenza dell’uomo di fronte alla maestosità sovrastante della natura e immagina che quei nostri antenati avessero una concezione fluida delle cose, senza una vera distinzione fra uomini, animali, oggetti e spiriti.
Ma alla fine arriva la stoccata inaspettata: abbiamo visto una traccia dell’evoluzione da animale a uomo sensibile e l’attenzione riservata al sito archeologico per conservarlo alla memoria storica, eppure, a poche miglia da lì, c’è una centrale nucleare. L’impianto di smaltimento ha provocato il riscaldamento di una zona limitrofa creando un microclima tropicale, dentro vive in cattività anche un coccodrillo albino. Allora quali saranno i "segni" lasciati in eredità dall'uomo contemporaneo che gioca con l’equilibrio della natura? Deliziato

martedì 28 maggio 2013

Ragazzo scompare in USA e ricompare in Spagna - The Imposter

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Nel 1994 una ragazzo scompare a San Antonio, Texas. Dopo tre anni, in un paesino spagnolo, viene ritrovato un giovane, parla poco, dice d’essere stato rapito, abusato, torturato e di essere americano. È lui?
Se volete vedere il film, consiglio di non leggere oltre queste righe, per gustarvi l'atmosfera che riesce a creare.
Si tratta di un documentario con sfumature da giallo e thriller, seguiamo ricostruzione e indagini di un caso realmente accaduto. Lo spettatore viene coinvolto dalla curiosità di capire come sono andate effettivamente le cose e soprattutto di come siano state possibili.
Il regista ci sa fare, dosa gli elementi della storia seguendo il percorso lineare degli eventi reso avvincente con piccole diramazioni. Qualcuna si rivela falsa, qualcuna vera, qualcuna finisce in un vicolo cieco eppure potrebbe nascondere qualche verità che non conosceremo mai.
Quello che di certo si staglia è la personalità manipolatrice di Frédéric Bourdin, dotato di un’intelligenza psicotica, disinteressato a cosa provino gli altri, pronto a fare qualsiasi cosa per darsi una possibilità, come quella di assumere un'identità falsa e reggere la parte fino all'impensabile: la prova del riconoscimento di una madre.
Poi ci sono gli altri, quelli che interagiscono con questa persona, in particolare la famiglia che lo “ri-accoglie”. Ci si domanda se sia possibile desiderare così tanto qualcosa da crederci ad ogni costo anche contro l'evidenza. Oppure se quel voler credere sia invece una necessità, forse per nascondere dell’altro, qualcosa di tremendo che si vorrebbe sepolto.
Infine ci siamo noi: possibile che le bugie diventino talmente grandi da mangiarsi anche la verità? Sembra sempre che serva tempo perché questa sia appurata e condivisa, troppo tempo perché  si palesi; intanto il tempo passa e qualche verità si perde. Gradito

lunedì 27 maggio 2013

Palma d'oro 2013

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Questa edizione del Festival di Cannes è stata caratterizzata da un buona dose di film di alto livello, quello che la giuria ha scelto come migliore del Festival è stato:
  • La vie d'Adéle di Abdellatif Kechiche
La presidenza di Spielberg, a vedere i risultati, sembra essere stata molto istituzionale, si potrebbe dire quasi servile.
Mentre veniva assegnata la Palma d'oro per un film francese su un amore lesbo, a Parigi si manifestava contro i matrimoni gay.
Chiaramente bisognerebbe aspettare di vedere il film e gli altri in concorso, ma viene da domandarsi quanto abbia contato il voler dare un "peso politico" al premio? Era proprio questo il migliore film della selezione in concorso?
Sale anche il dubbio che il regista abbia voluto giocare un po' di furbizia cavalcando l'onda mediatica del dibattito sull'argomento quando ha scelto di trarre questo film dalla graphic novel Il blu è il colore più caldo di Julie Maroh.
Inoltre, mi chiedo, se non gioverebbe maggiormente alla "causa" premiare film su questa tematica con protagoniste coppie di ragazze un po' più grandi, non quindicenni. Dico così per sfuggire all'idea che si faccia leva sull'immaginario delle belle ninfette per prendere il pubblico, quello etero in particolare, per la libido o per lo "scandalo", salvo poi usare la carta dello sdoganare artisticamente la tematica omosessuale come sponda "intellettuale".
Alcune affermazioni del regista a me non convincono molto, per esempio quella sulla scelta della protagonista, la debuttante diciannovenne Adele Echarchopoulos: «Ho capito che era l’attrice giusta vedendola mangiare una fetta di torta, la mangiava, con tutti suoi sensi, ho capito che era la ragazza giusta» [fonte].
Per carità, c'è il beneficio della "risposta da intervista", ma sniff-sniff, sento odore di furbetto e magari bastava presentarlo a Venezia invece che a Cannes per emanarne un po' meno.

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[Adele assaggia la torta]

A bocca chiusa, invece, è rimasto il nostro Sorrentino con La grande bellezza, l'unica pellicola italiana in gara (il film Un castello in Italia, di Valeria Bruni Tedeschi, era una produzione francese). Riconoscimenti al nostro cinema ci arrivano grazie ad Adriano Valerio con la Menzione Speciale per miglior corto 37 4s e alla Menzione Speciale della Giuria Ecumenica per Miele di Valeria Golino. Mentre la medaglia di maggior pregio arriva a Salvo, diretto da Antonio Piazza e Fabio Grassadonia, che ha vinto il Gran premio della Semaine della Critique e anche quello di Film Rivelazione della Semaine.
[Lista completa dei premi: palmarès]

sabato 25 maggio 2013

Hansel e Gretel: cacciatori di streghe

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La storiella di Hansel e Gretel l’abbiamo sentita quasi tutti da bambini, il film parte proprio da lì, con un ripassino: i due fratellini vengono abbandonati nel bosco dal padre, trovano una casetta di marzapane, mangiucchiano golosi, entrano, la strega schiavizza lei e mette all’ingrasso lui. 
Un giorno Gretel riesce a spingere la strega nel forno acceso, toglie dalla gabbia Hansel e sono di nuovo liberi… Ma, e qui si apre il nostro film, i due non tornano dai genitori, si lanciano invece in una nuova professione: cacciatori di streghe.
La fiaba o meglio il suo sequel vede un'ambientazione rivisitata, c’è un fucile a pompa, una balestra spara dardi “a nastro”, compare pure un teaser e un troll. Usa un linguaggio da film d’azione («questi fottutissimi paesani», «Al mio segnale scatenate l'inferno!», «Hansel e Gretel!? O mio dio!!!») mentre atmosfera ed estetica sono quella del filone horror-patinato, un po’ steam-punk e un po’ burtoniano-disney, ma con improvvise scene splatter.
Nella fiaba originale i fratelli uccidevano la strega, si impossessavano dei suoi averi e tornavano dai genitori rendendoli benestanti. Insomma si “dimenticavano” che erano stati abbandonati e senza alcun rancore facevano festanti ritorno a casa. 
A me non piaceva granché sta “morale”, guarda caso un fiaba raccontata dai genitori… ad uso e consumo dei genitori (nel medioevo l’abbandono dei figli per miseria era diffuso e con una storiella si ripuliva la coscienza, si rendeva “rampante” la prole incitandola a salvarsi da sé e in caso di successo doveva, però, tornare a rendere grazie a mamma e papà).
La storia del film è diversa sotto questo aspetto, se vogliamo migliore per come viene “giustificato” l’abbandono, ma il nuovo taglio che viene dato, in spirito totalmente hollywoodiano, mi fa schifo uguale.
Due sono i punti: il primo è che il film è incentrato su una visione dicotomica e discriminante delle persone basata sulla bellezza. L’equazione è la classica se sei brutto sei cattivo, se sei bello sei buono («questa non è una strega, è pulita», «con una faccia del genere sarei anch'io arrabbiata»).
Il secondo punto è la forza che smuove i fratelli contro le streghe, ossia denaro, fama e vendetta. Il trittico viene normalizzato così i figli sono liberati nei confronti dei padri e spregiudicati nei confronti del mondo, il tutto con un sorriso. In pratica si restituisce pan per focaccia agli intenti "morali" originali.
In conclusione è un film che sconsiglierei a bambini e ragazzi sia visivamente che dal punto di vista educativo, ma se siete adulti e non vi infastidisce questa lettura etica, bisogna dire che si fa guardare volentieri perché ha ritmo, una struttura banale ma solida, fa sorridere per le trovate e nelle sue stupidaggini, che quasi sempre coincidono, e sono fatte con una consapevolezza sfrontata quasi ironica.
Quello che il film offre è quello che il mainstream vuole ed è un esempio di cosa vuol dire post-modernizzare una fiaba. Gradito

martedì 14 maggio 2013

Cannes 2013 - Arriva la stagione calda del cinema

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Non ci sono più le mezze stagioni, si sa, e anche l'anno cinematografico potrebbe essere ridotto idealmente a due sole: la stagione fredda e quella calda. 
La stagione calda del cinema sta per iniziare, almeno secondo i miei parametri di riferimento che sono il Festival di Cannes, ad aprirla, e la Mostra del Cinema di Venezia, a chiuderla.
Solitamente dedico solo un post a Cannes, per segnalare la Palma d'oro, e il doppio post ai festival nostrani (Venezia e Roma), ma questa volta ho pensato che si meritasse anche quello di lancio perché la selezione ufficiale è particolarmente bella carica di film di registi apprezzati.
La 66ª edizione del Festival di Cannes si terrà dal 15 al 26 maggio, a presiedere la giuria c'è Steven Spielberg mentre ad accendere gli schermi, fuori concorso, c'è l'atteso The great Gatsby tratto dall'omonimo romanzo di Francis Scott Fitzgerald. I film da segnalare sarebbero anche tanti altri, vedremo quale sarà il palmarès alla fine del Festival.

I film in concorso:
  • Un château en Italie di Valeria Bruni Tedeschi
  • Inside Llewyn Davisdi Joel ed Ethan Coen
  • Michael Kohlhaas di Arnaud Despallieres
  • Jimmy P. (Psychotherapy of a Plains Indian) di Arnaud Desplechin
  • Heli di Amat Escalante
  • Le Passé di Asghar Farhadi
  • The Immigrant di James Gray
  • Grisgris di Mahamat-Saleh Harou
  • Only Lovers Left Alive di Jim Jarmusc
  • Tian Zhu Ding di Jia Zhangk
  • Soshite Chichi Ni Naru di Hirokazu Kore-eda
  • La Vie d'Adèle di Abdellatif Kechiche
  • Wara No Tate di Takashi Miike
  • Jeune et Jolie di François Ozon
  • Nebraska di Alexander Payn
  • La Vénus à la fourrure di Roman Polański
  • Behind the Candelabra di Steven Soderbergh
  • La grande bellezza di Paolo Sorrentino
  • Borgman di Alex Van Warmerdam
  • Solo Dio perdona (Only God Forgives) di Nicolas Winding Refn
- Tutti trailer dei film
- Tutti i film della selezione ufficiale

sabato 11 maggio 2013

Dead Set + Black Mirror

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[+] Segnalo due serie in un colpo solo perché hanno l'autore in comune, ossia il pungente e geniale Charlie Brooker (conosciuto in Italia per un monologo satirico su Berlusconi), e perché farei fatica a dedicare un post per ciascuna. 
Su Dead Set mi troverei in difficoltà a scrivere molto perché è passato un po' di tempo da quando l'ho vista, per Black Mirror il problema sarebbe contenersi perché ci sarebbe fin troppo da scrivere e quindi uso questo pretesto per costringermi all'essenziale.
Un pregio che hanno entrambe è di essere mini-serie, caratteristica ricorrente in quelle di origine britannica: Dead Set è composta di 5 puntate, la prima dura 45 minuti le altre da 25, un invito a guardarle tutte in una volta; Black Mirror conta già di due stagioni, ma sono entrambe composte da solo 3 episodi di circa un'ora, ognuno autonomo e auto-conclusivo.
Altri due aspetti che hanno in comune sono l'usare il genere, rispettivamente l'horror e la fantascienza, per fare critica sociale, in particolare nella prima una critica sulla società contemporanea e nella seconda una riflessione che mette in guardia su quella che potrebbe essere la società di un futuro più o meno prossimo; l'altro aspetto in comune è molto più personale e riguarda l'essere le due serie che più hanno realizzato alcune mie riflessioni.



Dead Set


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Mentre si sta svolgendo l'ennesima edizione del Grande Fratello nel paese esplode un'epidemia zombie che dilaga rapidamente ovunque. La voyeuristica casa moderna diventa l'ultimo baluardo della presunta "umanità". Potrà resistere?
Mini serie adrenalinica e splatter, dove tutto è metafora della società dello spettacolo.
La TV spesso utilizzata come arma di distrazione di massa, punta a togliere l'attenzione da dove stanno veramente i problemi: tutto intorno. Uno dei paradossi è che nonostante la parola "reality" in queste trasmissioni di vita reale c'è poco. Quelle criticità che non compaiono, che vengono lasciate a margine, finiranno col diventare incontenibili facendo collassare anche il teatrino messo in piedi per ignorarle.
I concorrenti, i personaggi (quello che questo tipo di società desidera siano le persone), se ne accorgeranno con qualche difficoltà solo quando constateranno che il GF non li osserva più, allora sì deve essere successo qualcosa di preoccupante.
Quella rappresentata è la nostra società, stereotipata, superficiale, competitiva, rappresentata da egocentrici e in balia di istinti primordiali. La "casa", il posto sicuro, diventa un credo, ma è solo un baraccone, un'illusione. Pensate possa esserci lieto fine per chi è già un morto vivente?




Black Mirror


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Guardare nello specchio per predire il futuro, guardarci dentro per fissare quali sono gli elementi che potrebbero lievitare, mutare e concretizzarsi in nuovi paradigmi di un modo di vivere ancora più degenere. Questo è quello che prova a fare Black Mirror puntando il riflettore sull'evoluzione possibile del rapporto uomo-tecnologia, ossia sulla relazione più caratteristica della società attuale che pervade ogni aspetto del vivere influenzando i rapporti umani fino a determinarli.
Media e tecnologia sono potenzialmente, da sempre, perversi a seconda dell'uso che sceglie di farne l'uomo, ma hanno raggiunto oggi un grado di capillarizzazione così alto da diventare un fattore determinante.
Da questo presupposto partono tutte le puntate che trattano solo il lato oscuro del rapporto. Per dire di più su come viene sviluppato ogni singola "riflessione" bisognerebbe entrare nello specifico di ogni episodio che è diverso dagli altri per storia, personaggi e collocazione spazio-temporale. Quello che riverbera su tutti è la sostanziale conclusione apocalittica: se poniamo la nostra società di fronte ad uno specchio chiaroveggente ci appariranno futuri lugubri, nemmeno il vetro regge quelle previsioni e si incrina. Se vogliamo diversamente bisognerebbe offrirgli una "faccia" migliore da riflettere.