I film di Sofia Coppola li ho visti tutti e questo è senza dubbio quello meno riuscito. Riassumo i primi 30 minuti: oh my god, so cute, wow... Ha così tante cose! Sono le parole che escono dalla bocca delle protagoniste, a ripetizione.
Il racconto prende spunto dalla fatidica storia realmente accaduta e vede un gruppetto di ragazzine e un ragazzo (che fa da voce narrante) intrufolarsi nelle ville di ricchi e famosi di Los Angeles per sottrarre abiti e gioielli. La banda verrà soprannominata dai media "The Bling Ring", dove 'bling' è uno slang che viene dall'hip-hop e indica l'indossare gioielli in modo ostentato tipico dei nuovi ricchi.
Il racconto prende spunto dalla fatidica storia realmente accaduta e vede un gruppetto di ragazzine e un ragazzo (che fa da voce narrante) intrufolarsi nelle ville di ricchi e famosi di Los Angeles per sottrarre abiti e gioielli. La banda verrà soprannominata dai media "The Bling Ring", dove 'bling' è uno slang che viene dall'hip-hop e indica l'indossare gioielli in modo ostentato tipico dei nuovi ricchi.
La Coppola rimane nel suo ormai caratteristico campo delle adolescenze tristi e più nello specifico dalle parti di Somewhere, guardando questa volta dall'altro lato dello specchio: se di là il protagonista aveva fama e ricchezza ma trascurava la figlia, di qui le figlie trascurate dai padri la fama la vorrebbero avere. Insomma si tratta di una variazione sul tema dell'annoso problema della noia d'essere adolescenti benestanti.
Le giovani fashion victim ossessionate dallo stile di vita delle celebrità, vengono seguite con distacco, non c'è immersione nelle psicologie delle ragazze, solo qualche incursione nelle loro camerette, lo sguardo rimane alto, si vuole documentare la loro pochezza.
Le attenuanti ai loro comportamenti vengono ricondotte ai soliti genitori assenti o dalla presenza come fosse un'assenza o dalla presenza pseudo-educativa che in realtà fa più male che bene. La Coppola sembra riscontrare l'impossibilità di andare più a fondo, non c'è qualcosa di significativo da cercare dentro quelle teste, vogliono solo poter avere anche loro l'immagine che gli viene presentata a ripetizione come quella cool, quella che "piace alla gente che piace".
Le attenuanti ai loro comportamenti vengono ricondotte ai soliti genitori assenti o dalla presenza come fosse un'assenza o dalla presenza pseudo-educativa che in realtà fa più male che bene. La Coppola sembra riscontrare l'impossibilità di andare più a fondo, non c'è qualcosa di significativo da cercare dentro quelle teste, vogliono solo poter avere anche loro l'immagine che gli viene presentata a ripetizione come quella cool, quella che "piace alla gente che piace".
Una volta c'erano le gioventù difficili tormentate per introspezione, una volta c'era la rabbia del giovane contro il sistema e l'adolescenza era ribellione ai dis-valori costituiti, ora invece sembra ci sia la necessità di farli propri quei dis-valori. Le ragazzine qui rappresentate sono difficili per un'inconsistenza interiore che viene riempita di cose materiali usate per tappezzare un corpo vuoto, senza una personalità. In verità sono solo un po' troppo intraprendenti nell'ubbidire alla regola odierna per costruirne una, di personalità, che è semplice, quasi un mantra: io sono ciò che ho, io sono ciò che consumo.
Il tema è interessante e va ben oltre il caso specifico del film allargandosi a fenomeno sociale, la realizzazione di Sofia Coppola invece risulta inferiore a quanto fatto in passato. In Somewhere il protagonista si trovava in un circolo vizioso e alla fine vi usciva, questa volta nel loop c'è entrata la regista che, sarà anche per la scelta di non creare empatia verso queste teenager, ma non riesce ad appassionare lo spettatore che, senza la musica delle ripetute "scorribande", cadrebbe nella noia più totale. Il risultato è quasi un reality su teenager che rubano abiti e soldi per mettersi in mostra in discoteca e scattarsi foto agghindate da pubblicare su Facebook. Ah, è proprio come nella realtà. Sgradito