Inception non è propriamente un capolavoro, Inception è sicuramente bello, articolato, emozionante, ma lungi dall'avere il valore seminale che ha avuto il cugino
Matrix. Lo chiamo cugino perché è il primo film che mi è venuto in mente guardando il film di Nolan nonostante siano diversi nello sviluppo:
Matrix è anche un film politico e filosofico mentre Inception è poco più di un intrattenimento psicologico (con oggetto l'ossessione dell'idea).
Ma tanti altri sono i parenti, più o meno stretti, che il film di Nolan può “vantare”, o che il regista ha voluto citare, e si può affermare senza possibilità di smentita che Inception non è nemmeno un film originale. Tanto per fare qualche titolo si raccolgono idee da:
Paprika,
eXistenZ,
Donnie Darko,
Vanilla Sky,
Il tredicesimo piano,
Dark City,
Mission: Impossible,
007 (la scena della motoslitta è veramente mal girata) e dal libro del 1966
Il signore dei sogni.
Inception riesce a catturare, oltre che visivamente, soprattutto grazie all'architettura della storia e alla colonna sonora perfetta. Esteticamente mi ha dato però una sensazione un po' decadente considerato che è tutta una lievitazione, un esponenziale, di trovate già viste.
Nell'analizzarlo si può essere condizionati dalla filmografia del regista e interpretarlo per concetti generici oppure si può ricercare nella sceneggiatura un senso logico, a mente fredda, per indagarne gli elementi, metterli in relazione e quindi inevitabilmente in discussione.
Se provo a ordinare i pezzi vedo incoerenze e nonostante le spiegazioni delle regole del gioco siano costantemente fornite nel racconto, si rivelano in realtà contraddittorie o poco sensate. Proprio il fatto che siano inserite con esplicite scene e dialoghi manifesta la necessità di far leva nello spettatore e illuderlo a credere, gli insegnano che quanto vedrà è motivato, quindi coerente. Cosa che invece non è, è solo funzionale, si tratta di un “prestigio”.
Il merito quindi di questa sceneggiatura è nella capacità di creare efficacemente il suo mondo. Ti dice che le cose funzionano così, devi solo ascoltarlo, senza domandarti se reggono, è una pappetta pronta da deglutire.
Questo è un altro motivo per cui, per me, Inception non può ritenersi all’altezza del citato
Matrix: la razionalità della matrice ha un suo perché, la razionalità piegata dei sogni nolaniani è pretestuosa.
A confermare questo approccio un po' subdolo c’è il furbo finale dove si rimarca la scelta dell'ambiguità. Infatti la scena è costruita per insinuare il dubbio, Cobb non si preoccupa della trottolina, il suo totem, e corre ad abbracciare i suoi figli che sono nella stessa posizione dei ricordi nei suoi sogni (*). Sembra volerci suggerire che l'importante è la sua liberazione da un’idea (Mal) e l'aver raggiunto il “sogno” di rincontrare i suoi figli.
Quindi non è importante se la felicità sia raggiunta nel sogno o nella realtà, ma perché ciò sia possibile bisogna essere inconsapevoli o disinteressati. È la linea di Mal: «non è importante quello che sai, ma quello che credi». In poche parole se non ti accorgi dell’inganno ritieni che l'illusione sia il vero e quindi l'inganno non esiste.
Il creare questo alone di incertezza nel finale, che insinua il dubbio se Cobb sia nel reale o meno (*), rimarca anche un’evidenza metacinematografica, ossia che un innesto lo fa Nolan sullo spettatore: il regista/architetto tramite un film/sogno innesta una sceneggiatura/idea nello spettatore.
Un personaggio in particolare simbolizza questo rapporto, è Arianna, colei che costruisce labirinti ma mitologicamente sa anche come districarli e infatti dipana la mente di Cobb accompagnandolo al confronto con Mal ed è proprio lei ad ucciderla sparandole.
Anche se Inception non mi ha convinto nella sua concezione, durante la visione il coinvolgimento è stato palpabile. Le incoerenze e ambiguità sono dissimulate da Nolan che riesce ad iniettare nello spettatore ansia e meraviglia, il peso ossessivo di un'idea e la catarsi liberatoria di un'altra.