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venerdì 30 novembre 2012

Il cinema come psicoanalisi - Arirang

Se volete comprendere pienamente il significato della performance vocale di Kim Ki-Duk in occasione della consegna del Leone d'Oro alla 69^ Mostra del Cinema di Venezia per Pietà, dovete vedere Arirang.
Arirang è proprio il titolo di quella canzoncina popolare coreana che il regista ha intonato e viene spiegata in questo film, facendo capire il valore che ha avuto quel gesto per Kim Ki-Duk.
Questo è un film intimo e disperato, realizzato più per il regista che per lo spettatore, è un girare come bisogno esistenziale, come necessità espressiva: si tratta per la maggior parte, tranne nel finale, di un video-confessione. 
L'autore si è rifugiato in una catapecchia in montagna e riflette sui tormenti causati da un incidente avvenuto durante le riprese di Dream. Ha deciso di allontanarsi dall'industria del cinema e da tutti, dopo ben 15 film in 13 anni si trova di fronte ad un blocco creativo, ma non solo.
Si parte nel tormento del silenzio, con i gesti quotidiani della vita in solitudine in un gelido paesaggio, poi il ghiaccio si scioglie e sgorga un fiume di parole. Sono le confessioni di Kim Ki-Duk con il suo ego inquisitore, mentre aleggia fuori-campo il fantasma dello spettatore, dell'Altro.
Scopriamo che lo shock dell'incidente, che per altro non ha avuto particolari conseguenze, non è il solo motivo delle sue turbe, è la delusione avuta dai suoi assistenti che ha caricato il tutto. 
L'occasione introspettiva si presta anche a riflessioni sul cinema. Impugnata una Canon Mark II Kim Ki-Duk medita sulla differenza di ripresa, di come illuminazione e diaframma abbelliscano troppo il mondo, mentre la videocamera no. Considera poi il recitare la parte dei cattivi come la più facile da fare: «Bastardi, non vantatevi di interpretare bene il ruolo dei cattivi dimostra solo che siete dei malvagi!».
Ovviamente l'eloquio porta all'esplicitare la sua filosofia, riscontrabile nei suoi film precedenti: il credere in un ordine di natura, il vedere il bianco e il nero come lo stesso colore, il vivere inteso come sadismo e masochismo... Ma poi c'è il tempo per tornare sugli "oggetti" con una carrellata sui premi vinti e rendere grazie ai festival internazionali senza i quali sarebbe sicuramente fallito in una Corea che non aveva riconosciuto la sua arte.
Il film diario si fa quindi film documento drammatico e funge da seduta psicoanalitica, per finire con la "ripresa" di Kim regista-attore diventa anche film "fantastico". Per realizzare il meccanismo di rimozione Kim lascia la dimora, prende la macchina e come un freddo killer procede con l'uccisione liberatoria di quelli che considerava amici e si sono rivelati opportunisti traditori.
Ora può dare un nuovo «Ready-Action!» a se stesso. Deliziato

Qualcosa in comune con: