Evelyn Salt è stata una spia infiltrata in territorio nemico, scoperta e torturata, non ha tradito la copertura e alla fine è riuscita a tornare in patria grazie a uno scambio di prigionieri.
Oggi è un’agente affermata della CIA e vorrebbe passare la serata con il suo compagno, ma arriva un russo ad accusarla di essere una spia dormiente prossima a compiere un attentato che darà il via ad una guerra nucleare. Chi è veramente Salt?
Si rispolvera atmosfera da guerra fredda, fantasmi del passato che continuano a tormentare rendendo grigio il presente. Più che al lato politico si punta tutto sull’azione con un risvolto nel lato psico-filosofico.
Il ritmo è scandito da un assemblaggio di tante “situazioni” tipiche del genere alle quali si può ormai attingere a piene mani. C’è la fuga sui tetti di veicoli in marcia, in un domino perfetto; il free-climbing, a salti, in discesa, nel vano ascensore; la guida da passeggero con teaser elettrico sulla gamba del conducente (che fa molto Crank). L’occhio non si annoia, il tempo viene scandito dal battito cardiaco accelerato, ma quello che manca è il cuore.
Ormai si celebra comunemente in molti film d’azione il supereroe “realizzato”, un superuomo che è individuo autonomo, autosufficiente, in grado di controllare le emozioni, iper-addestrato per ogni situazione: uno che vale centomila.
Questa volta il ruolo del caso va ad una superdonna, una Jolie monolitica e mono-espressiva (tranne in un momento in cui fa la tipica faccetta della donna a cui non puoi dire di no; ovviamente un inganno per fregare l’uomo di turno). Purtroppo non è più la bad girl di una volta, si vedono gli anni passati, magra come un grissino risulta poco convincente quando picchia, ma non si spezza. Eppure è la sua parte l’unico tocco nuovo dell’operazione e dona la vera sfumatura che trasborda dal contorno del racconto già visto, portando un surplus. Il suo personaggio diventa emblema di emozioni se non estirpate, stipate nel profondo, compresse al punto che non trovano spazio nemmeno quando si trova di fronte al peggio. Lei non si ferma, avanza, più determinata di prima.
Qui non si lotta alla ricerca di un’identità dispersa nel mare magnum postmoderno, com’era per il “cugino” Jason Bourne, ma si scappa dall’identità perché senza diventa più facile agire (basta un po' di colore ai capelli per essere un'altra).
Prima superuomini, ora superdonne, sempre più automi, sempre meno umani.
Oggi è un’agente affermata della CIA e vorrebbe passare la serata con il suo compagno, ma arriva un russo ad accusarla di essere una spia dormiente prossima a compiere un attentato che darà il via ad una guerra nucleare. Chi è veramente Salt?
Si rispolvera atmosfera da guerra fredda, fantasmi del passato che continuano a tormentare rendendo grigio il presente. Più che al lato politico si punta tutto sull’azione con un risvolto nel lato psico-filosofico.
Il ritmo è scandito da un assemblaggio di tante “situazioni” tipiche del genere alle quali si può ormai attingere a piene mani. C’è la fuga sui tetti di veicoli in marcia, in un domino perfetto; il free-climbing, a salti, in discesa, nel vano ascensore; la guida da passeggero con teaser elettrico sulla gamba del conducente (che fa molto Crank). L’occhio non si annoia, il tempo viene scandito dal battito cardiaco accelerato, ma quello che manca è il cuore.
Ormai si celebra comunemente in molti film d’azione il supereroe “realizzato”, un superuomo che è individuo autonomo, autosufficiente, in grado di controllare le emozioni, iper-addestrato per ogni situazione: uno che vale centomila.
Questa volta il ruolo del caso va ad una superdonna, una Jolie monolitica e mono-espressiva (tranne in un momento in cui fa la tipica faccetta della donna a cui non puoi dire di no; ovviamente un inganno per fregare l’uomo di turno). Purtroppo non è più la bad girl di una volta, si vedono gli anni passati, magra come un grissino risulta poco convincente quando picchia, ma non si spezza. Eppure è la sua parte l’unico tocco nuovo dell’operazione e dona la vera sfumatura che trasborda dal contorno del racconto già visto, portando un surplus. Il suo personaggio diventa emblema di emozioni se non estirpate, stipate nel profondo, compresse al punto che non trovano spazio nemmeno quando si trova di fronte al peggio. Lei non si ferma, avanza, più determinata di prima.
Qui non si lotta alla ricerca di un’identità dispersa nel mare magnum postmoderno, com’era per il “cugino” Jason Bourne, ma si scappa dall’identità perché senza diventa più facile agire (basta un po' di colore ai capelli per essere un'altra).
Prima superuomini, ora superdonne, sempre più automi, sempre meno umani.
Gradito
| Reg: 7 | Rec: 6 | Fot: 7 | Sce: 6 | Son: 7 |
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