L'incipit di Vendicami colpisce l'occhio, dopo una manciata di minuti si sente profumo di Tarantino, ma invece c'è altro.
Fuori piove, sembra una giornata comune per una famigliola borghese di Macao: il padre è appena rincasato per il pranzo portando con sé i bambini che è passato diligentemente a prendere alla fine della scuola, la mogliettina ha tutto pronto sul fuoco, ma suonano alla porta. È carneficina.
Dalla Francia arriverà Francis Costello, un parente, per cercare vendetta.
Ancora una volta c'è da vendicarsi, o da vendicare, un tema ricorrente nella filmografia orientale e questa volta si indaga sul suo senso nel tempo, o meglio per la memoria: quale? E di chi?
Il vendicatore, un Johnny Hallyday che con un'unica espressione nel viso giusto risulta perfetto per tutto il film, ha un passato da killer e porta con sé, nel cervello, un pallottola che gli sta provocando una progressiva perdita di memoria. Johnny tampona il problema imprimendo quanto serve nelle polaroid, ma sa che entro breve non ricorderà proprio nulla dell'accaduto.
La vendetta è quindi un qualcosa che si deve ai "caduti" oppure il suo senso e quello di placare la rabbia dei sopravvissuti, coloro che devono andare avanti portandosi appresso il peso di quei fatti?
Ma se i morti non sapranno della vendetta, i sopravvissuti non la ricorderanno e addirittura per ottenerla ci saranno altre morti, ha senso il regolamento dei conti?
Se si ragiona a posteriori forse no. Se si guarda dall'esterno e si schematizza sembra che il risultato sia nullo, forse in perdita.
Se invece si esamina la vita come susseguirsi di istanti, se il significato viene dato non nel compiuto ma nel compiersi, allora le cose forse cambiano.
Oltre a questo tema portante, che poteva essere banale e viene invece sviluppato in modo interessante, ad impressionare è lo stile registico e la messa in scena citazionista. Al noir che ci si aspetta si mischiano visivamente tocchi da commedia, duelli western, ma anche fantascienza (a me le scene del covo e della fuga hanno richiamato alla mente Blade Runner). Di rimando l'effetto di questa scelta "forte" ha ripercussioni sulla sceneggiatura che viene piegata nella "plausibilità" per favorire la spettacolarizzazione visiva ed emotiva.
Finora non avevo visto nulla del regista Johnnie To, ma bastano questi 108 minuti per riconoscere un cinema d'autore volto a catturare l'occhio dello spettatore seguendo come prima regola quella di fagocitare tanto cinema di genere e risputare il composto plasmandolo a proprio piacere, e vantaggio.
-Tu vuoi vendetta! Te lo ricordi questo?
-Cos'è vendetta?
Fuori piove, sembra una giornata comune per una famigliola borghese di Macao: il padre è appena rincasato per il pranzo portando con sé i bambini che è passato diligentemente a prendere alla fine della scuola, la mogliettina ha tutto pronto sul fuoco, ma suonano alla porta. È carneficina.
Dalla Francia arriverà Francis Costello, un parente, per cercare vendetta.
Ancora una volta c'è da vendicarsi, o da vendicare, un tema ricorrente nella filmografia orientale e questa volta si indaga sul suo senso nel tempo, o meglio per la memoria: quale? E di chi?
Il vendicatore, un Johnny Hallyday che con un'unica espressione nel viso giusto risulta perfetto per tutto il film, ha un passato da killer e porta con sé, nel cervello, un pallottola che gli sta provocando una progressiva perdita di memoria. Johnny tampona il problema imprimendo quanto serve nelle polaroid, ma sa che entro breve non ricorderà proprio nulla dell'accaduto.
La vendetta è quindi un qualcosa che si deve ai "caduti" oppure il suo senso e quello di placare la rabbia dei sopravvissuti, coloro che devono andare avanti portandosi appresso il peso di quei fatti?
Ma se i morti non sapranno della vendetta, i sopravvissuti non la ricorderanno e addirittura per ottenerla ci saranno altre morti, ha senso il regolamento dei conti?
Se si ragiona a posteriori forse no. Se si guarda dall'esterno e si schematizza sembra che il risultato sia nullo, forse in perdita.
Se invece si esamina la vita come susseguirsi di istanti, se il significato viene dato non nel compiuto ma nel compiersi, allora le cose forse cambiano.
Oltre a questo tema portante, che poteva essere banale e viene invece sviluppato in modo interessante, ad impressionare è lo stile registico e la messa in scena citazionista. Al noir che ci si aspetta si mischiano visivamente tocchi da commedia, duelli western, ma anche fantascienza (a me le scene del covo e della fuga hanno richiamato alla mente Blade Runner). Di rimando l'effetto di questa scelta "forte" ha ripercussioni sulla sceneggiatura che viene piegata nella "plausibilità" per favorire la spettacolarizzazione visiva ed emotiva.
Finora non avevo visto nulla del regista Johnnie To, ma bastano questi 108 minuti per riconoscere un cinema d'autore volto a catturare l'occhio dello spettatore seguendo come prima regola quella di fagocitare tanto cinema di genere e risputare il composto plasmandolo a proprio piacere, e vantaggio.
-Tu vuoi vendetta! Te lo ricordi questo?
-Cos'è vendetta?
Gradito
| Reg: 8 | Rec: 7 | Fot: 8 | Sce: 7 | Son: 8 |
| Reg: 8 | Rec: 7 | Fot: 8 | Sce: 7 | Son: 8 |