C'è stato un tempo in cui Jean-Claude Van Damme era sulla cresta dell'onda, oggi Jean-Claude deve fare i conti con il declino della carriera, con la vita (un divorzio, le difficoltà finanziarie, il passato con la droga) e pure con una rapina ad un ufficio postale.
Un film dove Van Damme si racconta in una insolita dimensione e l'azione è solo l'involucro ormai arrugginito che lo imprigiona, lui affronta il ruolo auto-ironicamente con il desiderio impellente di parlare di sé; come si intuisce al primo sguardo della locandina del film.
Non sono mai stato un fan del genere molto in voga negli anni ottanta-novanta, quelli dove Stallone, Schwarzy, Seagal e il Jean-Claude in questione, sfornavano film come pane. Non mi hanno mai attirato, anzi mi infastidivano per essere un manifesto di machismo militare tutto fisico e niente cervello. Qui si parte con un piano sequenza di quello che potrebbe essere proprio uno di quei film, ma Jean-Claude esce dalla ripresa stanco e spossato, gli anni sono passati, vuole raccontare dell’altro: quello che è, per colpa di quello che è stato.
L'ammasso di muscoli non tornano utili nel momento in cui si è costretti a fare bilanci, altre sono le cose che pesano, e con un pizzico di rassegnazione l'unica via per andare avanti sembra cercare nel piccolo e riscoprire le relazioni comuni, ben diverse da quelle che si avevano con un "pubblico" da star di Hollywood.
Jean-Claude torna al suo paese d’origine e scopre il piacere di essere protagonista "non" di una sceneggiatura, ma delle piccole storie di vita.
La commistione fra l’introspettivo, l’ironico e l’azione ha un gusto strano che si mescola con scelte tecniche particolari come una riuscita fotografia de-saturata. Nella sceneggiatura ho trovato inutile l'inserimento della parte dove vengono mostrati i fatti antecedenti la rapina, già era possibile capire com'erano andate le cose e non si aggiunge sostanza portando solo un po' di noia. Interessante invece il siparietto con il monologo, una confessione che cala quasi improvvisamente e appare come un "spogliarello": i panni dell'uomo d’azione vengono lacerati da una malinconica dichiarazione introspettiva dell’uomo Jean-Claude Van Damme, un uomo ferito, post american dream, fuori dalle "scene", ma per forza ancora in scena.
Un film dove Van Damme si racconta in una insolita dimensione e l'azione è solo l'involucro ormai arrugginito che lo imprigiona, lui affronta il ruolo auto-ironicamente con il desiderio impellente di parlare di sé; come si intuisce al primo sguardo della locandina del film.
Non sono mai stato un fan del genere molto in voga negli anni ottanta-novanta, quelli dove Stallone, Schwarzy, Seagal e il Jean-Claude in questione, sfornavano film come pane. Non mi hanno mai attirato, anzi mi infastidivano per essere un manifesto di machismo militare tutto fisico e niente cervello. Qui si parte con un piano sequenza di quello che potrebbe essere proprio uno di quei film, ma Jean-Claude esce dalla ripresa stanco e spossato, gli anni sono passati, vuole raccontare dell’altro: quello che è, per colpa di quello che è stato.
L'ammasso di muscoli non tornano utili nel momento in cui si è costretti a fare bilanci, altre sono le cose che pesano, e con un pizzico di rassegnazione l'unica via per andare avanti sembra cercare nel piccolo e riscoprire le relazioni comuni, ben diverse da quelle che si avevano con un "pubblico" da star di Hollywood.
Jean-Claude torna al suo paese d’origine e scopre il piacere di essere protagonista "non" di una sceneggiatura, ma delle piccole storie di vita.
La commistione fra l’introspettivo, l’ironico e l’azione ha un gusto strano che si mescola con scelte tecniche particolari come una riuscita fotografia de-saturata. Nella sceneggiatura ho trovato inutile l'inserimento della parte dove vengono mostrati i fatti antecedenti la rapina, già era possibile capire com'erano andate le cose e non si aggiunge sostanza portando solo un po' di noia. Interessante invece il siparietto con il monologo, una confessione che cala quasi improvvisamente e appare come un "spogliarello": i panni dell'uomo d’azione vengono lacerati da una malinconica dichiarazione introspettiva dell’uomo Jean-Claude Van Damme, un uomo ferito, post american dream, fuori dalle "scene", ma per forza ancora in scena.
Gradito
| Reg: 7 | Rec: 8 | Fot: 7 | Sce: 6 | Son: 7 |
| Reg: 7 | Rec: 8 | Fot: 7 | Sce: 6 | Son: 7 |