Nel 1860 Fëdor Michajlovič Dostoevskij si trova a combattere i demoni del passato mentre, nel presente, gruppetti inneggianti Bakunin progettano un attentato; nel frattempo Fëdor dovrebbe anche finire la scrittura del suo romanzo che deve essere consegnato entro cinque giorni al suo editore-aguzzino.
Il film parte decisamente male con la scena dell'uccisione di un principe; male non tanto per l'uccisione, ma per l'assenza di pathos. Si prosegue un po' meglio in un intreccio fra il racconto del tumultuoso presente e la rappresentazione del percorso politico-esistenziale della vita di Dostoevskij.
Fëdor viene condannato a morte per aver fatto parte di società segrete con idee reazionarie socialiste, ma pochi istanti prima della fucilazione è graziato dallo Zar Nicola I e spedito ai lavori forzati in Siberia. Qui entrerà in contatto con "il popolo" rimanendone profondamente deluso e questa esperienza condizionerà le sue posizioni politiche che muteranno allontanandosi sia dall'avanguardia rivoluzionaria, inspirata proprio dallo spirito delle sue prime opere, che dal popolo, esigente di un “risveglio” più democratico.
Il Dostoevskij maturo pone ai contestatori una visione che mette al centro l'uomo, con la necessità di fuggire alla cieca adesione agli ideali astratti che diventano una scorciatoia verso il delirio di onnipotenza e la violenza; la strada deve essere quella del dialogo indirizzata dall'amore per l'umanità.
Lo scrittore viene accusato di tradimento dai giovani che lo criticano per l'atteggiamento passivo ("aspettate che il mondo migliori con la vostra mite fede!"; “state ad aspettare che il ricco si vergogni della propria ricchezza”) che non produrrà il cambiamento necessario.
La messa in scena non sempre cattura, ma bello ed efficace il flashback sui lavori forzati in Siberia e anche il surreale ed incantato brutto sogno del finale. Rimane però un film un po' sbilanciato sul teorico che meritava una più corposa e distribuita qualità nella rappresentazione.
Il film parte decisamente male con la scena dell'uccisione di un principe; male non tanto per l'uccisione, ma per l'assenza di pathos. Si prosegue un po' meglio in un intreccio fra il racconto del tumultuoso presente e la rappresentazione del percorso politico-esistenziale della vita di Dostoevskij.
Fëdor viene condannato a morte per aver fatto parte di società segrete con idee reazionarie socialiste, ma pochi istanti prima della fucilazione è graziato dallo Zar Nicola I e spedito ai lavori forzati in Siberia. Qui entrerà in contatto con "il popolo" rimanendone profondamente deluso e questa esperienza condizionerà le sue posizioni politiche che muteranno allontanandosi sia dall'avanguardia rivoluzionaria, inspirata proprio dallo spirito delle sue prime opere, che dal popolo, esigente di un “risveglio” più democratico.
Il Dostoevskij maturo pone ai contestatori una visione che mette al centro l'uomo, con la necessità di fuggire alla cieca adesione agli ideali astratti che diventano una scorciatoia verso il delirio di onnipotenza e la violenza; la strada deve essere quella del dialogo indirizzata dall'amore per l'umanità.
Lo scrittore viene accusato di tradimento dai giovani che lo criticano per l'atteggiamento passivo ("aspettate che il mondo migliori con la vostra mite fede!"; “state ad aspettare che il ricco si vergogni della propria ricchezza”) che non produrrà il cambiamento necessario.
La messa in scena non sempre cattura, ma bello ed efficace il flashback sui lavori forzati in Siberia e anche il surreale ed incantato brutto sogno del finale. Rimane però un film un po' sbilanciato sul teorico che meritava una più corposa e distribuita qualità nella rappresentazione.
Gradito
| Reg: 6 | Rec: 6 | Fot: 5 | Sce: 7 | Son: 6 |
| Reg: 6 | Rec: 6 | Fot: 5 | Sce: 7 | Son: 6 |