La crisi economica coinvolge quasi tutti, anche la malavita deve fare i conti con disponibilità finanziarie ridimensionate ed affidarsi a killer di seconda classe.
Siamo nel 2008 e gli Stati Uniti stanno passando dalla presidenza Bush a quella di Obama. I discorsi politici alla radio e alla televisione diventano sfondo delle vicende che vedono due giovani e inesperti malfattori rapinare una bisca, e la mafia locale incaricare un killer per trovarli e giustiziarli così da riportare fiducia nel “mercato” e far ripartire il gioco d'azzardo clandestino.
La situazione politico-economica è la metafora del racconto e parte integrante dello stesso fungendo, attraverso le dichiarazioni politiche trasmesse in sotto fondo, da colonna sonora. Questo legame diventa esplicito nel finale dove le parole di Obama trasmesse alla TV del bar vengono "riprese" dal killer Cogan rivelando il film come una favola moderna, con la propria immorale morale.
I governanti sono come la cupola, i manager come i killer, gli ideali sono parole da spendere alla TV in una vendita di illusioni propugnata alla gente mentre la storia viene vergata sulle loro spalle.
L'idea di strutturare questo noir secondo questo parallelismo è interessante, la suspance è quasi annullata, come la violenza, sempre attesa, ma banale nel compiersi, un'antitesi alla moda tarantiniana. Tutto prosegue lento e grigio, i personaggi sono ridotti a semplici ingranaggi di un macchina sgangherata, ma che funziona ancora alla vecchia maniera. L'idea che il meccanismo possa essere eluso e sia possibile uscirne vincitori non è concepibile, è un pensiero che può venire solo a due sprovveduti.
C'è un'unica cosa che conta nell'America di Bush, come in quella di Obama e in quasi tutti i paesi globalizzati: non è il senso di comunità, è l'egoistico affare, l'unico fulcro su cui ruota tutta la baracca. Gradito