Quanto si diverte un giovane attore hollywoodiano pieno di soldi e di donne pronte a concedersi?
A vedere una giornata tipo di Johnny Marco, attore nel bel mezzo della promozione del nuovo film, sembra non molto. Ha tutto e anche il superfluo a sua disposizione, tuttavia si sente annoiato, vuoto e si stordisce con alcol e farmaci.
Poi arriva Clio, 11 anni, è la figlia di Johnny e solitamente vive con la ex-moglie, ma lei sarà impegnata per un paio di settimane e quindi la ragazzina rimarrà con lui fino alla partenza per un campo estivo.
Clio donerà un senso alle giornate dell’attore, portando “gusto” alla sua quotidianità.
All’inizio del film la telecamera è ferma, un’auto sportiva entra ed esce dal campo visivo, segue un percorso circolare e monotono, una sequenza che mi fa venire in mente i film iraniani e il tenore della regia rimane tale anche nel proseguo del film.
La Coppola sceglie un cinema essenziale, pochi dialoghi, luci e suoni naturali, usa rari movimenti della macchina da presa che diventano ancora più significativi. Una tecnica che palesa il tentativo di ripulirsi dal mondo patinato e dagli ornamenti lezioni del mondo dello spettacolo, proprio quello che sembra servire anche al nostro protagonista.
È una storia di solitudine, un’altra storia di solitudine dopo Lost in Translation, ma questa volta il rapporto che spezza il grigiore è quello fra un padre, che forse si è dimenticato di esserlo, e una figlia piccola però autonoma praticamente in tutto, tranne per il bisogno della sicura presenza di un genitore.
L’incontro fra i due segue dei gradi: prima lei irrompe nella vita del padre e cattura la sua attenzione (ballando sul ghiaccio), poi provano ad allacciare un rapporto sfruttando quello mediato dal gioco (partite alla consolle), lei continua ad apportare un nuovo “sapore” alle giornate cucinando per lui, finalmente riescono ad avere una relazione e a stabilire un contatto (piscina dell’albergo). Proprio allora la macchina da presa allontana il suo sguardo, adesso si può distaccare senza il rischio di abbandonare Johnny, ora che quel piccolo nucleo ritrovato sembra dotato di forza sufficiente, di un'autonoma calda e delicata spinta vitale.
Ma Clio deve partire per il campo estivo e senza di lei Johnny ricade, non si sente nemmeno una persona. Non gli resta che prendere la sua bella auto e partire anche lui, la meta non è chiara, ma la regia ci suggerisce qualcosa.
Il finale è un contrasto, spezza la ciclicità iniziale, il circolo vizioso viene interrotto, ora la strada è una retta lunga e dritta, c'è una direzione che porta "da qualche parte": Johnny esce dal loop.
Mi è piaciuto questo film, ma mi ha confermato le sensazioni che avevo nella probabile partigianeria della vittoria del Leone d'oro a Venezia e la cosa fa un po' ridere perché l'immagine del mondo dello spettacolo italiano che rappresenta è desolante, tra lusso e trash, nel mezzo i finti sorrisi. La Coppola comunque è molto brava e paradossalmente viene premiata proprio dalla cerchia sociale che aliena il protagonista del suo film.
A vedere una giornata tipo di Johnny Marco, attore nel bel mezzo della promozione del nuovo film, sembra non molto. Ha tutto e anche il superfluo a sua disposizione, tuttavia si sente annoiato, vuoto e si stordisce con alcol e farmaci.
Poi arriva Clio, 11 anni, è la figlia di Johnny e solitamente vive con la ex-moglie, ma lei sarà impegnata per un paio di settimane e quindi la ragazzina rimarrà con lui fino alla partenza per un campo estivo.
Clio donerà un senso alle giornate dell’attore, portando “gusto” alla sua quotidianità.
All’inizio del film la telecamera è ferma, un’auto sportiva entra ed esce dal campo visivo, segue un percorso circolare e monotono, una sequenza che mi fa venire in mente i film iraniani e il tenore della regia rimane tale anche nel proseguo del film.
La Coppola sceglie un cinema essenziale, pochi dialoghi, luci e suoni naturali, usa rari movimenti della macchina da presa che diventano ancora più significativi. Una tecnica che palesa il tentativo di ripulirsi dal mondo patinato e dagli ornamenti lezioni del mondo dello spettacolo, proprio quello che sembra servire anche al nostro protagonista.
È una storia di solitudine, un’altra storia di solitudine dopo Lost in Translation, ma questa volta il rapporto che spezza il grigiore è quello fra un padre, che forse si è dimenticato di esserlo, e una figlia piccola però autonoma praticamente in tutto, tranne per il bisogno della sicura presenza di un genitore.
L’incontro fra i due segue dei gradi: prima lei irrompe nella vita del padre e cattura la sua attenzione (ballando sul ghiaccio), poi provano ad allacciare un rapporto sfruttando quello mediato dal gioco (partite alla consolle), lei continua ad apportare un nuovo “sapore” alle giornate cucinando per lui, finalmente riescono ad avere una relazione e a stabilire un contatto (piscina dell’albergo). Proprio allora la macchina da presa allontana il suo sguardo, adesso si può distaccare senza il rischio di abbandonare Johnny, ora che quel piccolo nucleo ritrovato sembra dotato di forza sufficiente, di un'autonoma calda e delicata spinta vitale.
Ma Clio deve partire per il campo estivo e senza di lei Johnny ricade, non si sente nemmeno una persona. Non gli resta che prendere la sua bella auto e partire anche lui, la meta non è chiara, ma la regia ci suggerisce qualcosa.
Il finale è un contrasto, spezza la ciclicità iniziale, il circolo vizioso viene interrotto, ora la strada è una retta lunga e dritta, c'è una direzione che porta "da qualche parte": Johnny esce dal loop.
Mi è piaciuto questo film, ma mi ha confermato le sensazioni che avevo nella probabile partigianeria della vittoria del Leone d'oro a Venezia e la cosa fa un po' ridere perché l'immagine del mondo dello spettacolo italiano che rappresenta è desolante, tra lusso e trash, nel mezzo i finti sorrisi. La Coppola comunque è molto brava e paradossalmente viene premiata proprio dalla cerchia sociale che aliena il protagonista del suo film.
Deliziato
| Reg: 8 | Rec: 7 | Fot: 7 | Sce: 7 | Son: 7 |
| Reg: 8 | Rec: 7 | Fot: 7 | Sce: 7 | Son: 7 |