“Cloverfield” è il nome in codice di un caso speciale del Dipartimento della difesa degli Stati Uniti, quello che vedremo è il contenuto della memoria di una telecamera amatoriale che ha immagazzinato le vicende di un gruppo di amici durante un catastrofico attacco a Manhattan da parte di una misteriosa e gigantesca creatura.
Il film gioca con la memoria visiva post undici settembre e, storia sentimental-giovanilistica a parte, cerca di fare un certo discorso sulla visione voyeristica.
Il “possessore” della macchina da presa non è più un documentarista di professione bensì una persona qualunque, uno sprovveduto qualsiasi. Sono quindi i “micro media” del quotidiano (cellulari e videocamere) che diventano i nuovi costruttori di un paradigma esistenziale e visivo. Alla base c'è il bisogno dell'homo videns a cui non basta più il racconto, “deve vedere” e “deve mostrare”, e con il pretesto di documentare auto alimenta la sua bramosia.
L'effetto undici settembre si fa sentire anche nell'atmosfera e il “dobbiamo andarcene da qui, non siamo al sicuro”, detto dai protagonisti, evidenzia un'insicurezza in casa propria e una minaccia costante che non si esaurisce neppure spostandosi.
Purtroppo il film nel complesso risulta poco spontaneo, con elementi di debolezza come le interruzioni dei frammenti del filmato sotto impresso che, nonostante vogliano probabilmente sottolineare anche la spettacolarizzazione dell'intimità, insita nella liberalizzazione della ripresa amatoriale, risultano un po' stonati. Il ritmo e le immagini sono comunque appassionanti.
Alla fine una domanda sorge spontanea: che videocamera avevano?
In questa battaglia al “mostra il mostro” è lei la vera vincitrice, inarrestabile, indistruttibile, senza problemi di durata batterie, di luce e condizioni ambientali, e in grado di trasformare un neofita in un cameraman provetto.
Il film gioca con la memoria visiva post undici settembre e, storia sentimental-giovanilistica a parte, cerca di fare un certo discorso sulla visione voyeristica.
Il “possessore” della macchina da presa non è più un documentarista di professione bensì una persona qualunque, uno sprovveduto qualsiasi. Sono quindi i “micro media” del quotidiano (cellulari e videocamere) che diventano i nuovi costruttori di un paradigma esistenziale e visivo. Alla base c'è il bisogno dell'homo videns a cui non basta più il racconto, “deve vedere” e “deve mostrare”, e con il pretesto di documentare auto alimenta la sua bramosia.
L'effetto undici settembre si fa sentire anche nell'atmosfera e il “dobbiamo andarcene da qui, non siamo al sicuro”, detto dai protagonisti, evidenzia un'insicurezza in casa propria e una minaccia costante che non si esaurisce neppure spostandosi.
Purtroppo il film nel complesso risulta poco spontaneo, con elementi di debolezza come le interruzioni dei frammenti del filmato sotto impresso che, nonostante vogliano probabilmente sottolineare anche la spettacolarizzazione dell'intimità, insita nella liberalizzazione della ripresa amatoriale, risultano un po' stonati. Il ritmo e le immagini sono comunque appassionanti.
Alla fine una domanda sorge spontanea: che videocamera avevano?
In questa battaglia al “mostra il mostro” è lei la vera vincitrice, inarrestabile, indistruttibile, senza problemi di durata batterie, di luce e condizioni ambientali, e in grado di trasformare un neofita in un cameraman provetto.
Deliziato
| Reg: 7 | Rec: 5 | Fot: (6) | Sce: 5 | Son: 7 |