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lunedì 29 novembre 2010

La habitación de Fermat (Fermat's room)

fermat room locandinaQuattro persone con in comune la passione per la logica matematica ricevono una lettera con un quesito: che ordine segue la serie 5, 4, 2, 9, 8, 6, 7, 3, 1? (*) 
Se riusciranno a risolvere il quiz entro dieci giorni saranno invitati ad un incontro ristretto per scambiare conoscenze fra colleghi. A firmare il misterioso indovinello un certo Fermat. 
Il film si apre con un voce che chiede: «Sapete cosa sono i numeri primi? Perché se non lo sapete, non dovreste essere qui». Un inizio perentorio che crea una certa attesa in parte delusa, perché quanto segue ha poco a che fare con teoremi e dimostrazioni, e più con inganni, invidia e risentimento. 
Non sono quindi indispensabili conoscenze matematiche per seguire il film, i vari richiami, a partire dalla Congettura di Goldbach come movente, sono usati come una strizzatina d'occhio verso lo spettatore attratto dal tema matematico, tema che si rivela poco più che una copertina-pretesto sopra la trama del giallo. Quest'ultima sicuramente meglio riuscita rispetto al tenore delle citazioni della scienza dei numeri sfruttate per creare il “clima” da mistero. 
I protagonisti quando entrano nella stanza di Fermat, per rimanerci per più della metà del film, devono rispondere correttamente ad alcuni quesiti, fin troppo classici, per evitare che le pareti si restringano e contemporaneamente scoprire chi è l'enigmatico anfitrione, e per quale motivo li vuole morti. 
La regia fra quelle quattro pressanti mura non riesce a dare molto, stava meglio fuori. Si prende in prestito una fotografia con colori da film horror moderno e si lascia sostenere il film dallo svelamento delle incognite nel racconto. 
Il risultato è uno di quei filmetti che si guardano volentieri in una seconda serata del periodo estivo senza troppe pretese. Ci sarebbero altre cose meravigliose da dire, anche sulla sostenibilità di tutta la baracca, ma non ci stanno nel margine troppo stretto di questo post.
Gradito
| Reg: 6 | Rec: 6 | Fot: 7 | Sce: 6 | Son: 6 |

(*) SOLUZIONE QUESITO
Per avere la risposta selezionare il testo fra parentesi quadre: 
[I numeri sono ordinati secondo ordine alfabetico in base alla loro scrittura in lettere, in lingua spagnola]

martedì 23 novembre 2010

Che la forza della tipografia sia con voi

Un gruppetto di creativi designer italiani (H-57) ha avuto questa simpatica idea per alcuni poster, una trovata che i fan geek di Star Wars apprezzeranno di sicuro.
Ci sono anche il Maestro Yoda e la truppa imperiale.

lunedì 22 novembre 2010

Buried - Sepolto

buried sepoltoPaul si sveglia dentro un cassa da morto, sotterrato chissà dove nel deserto iracheno, intorno a lui alcuni oggetti possono dargli la speranza di salvezza o rendere più tormentata la sua condanna. A dettare il tempo a sua disposizione le tre tacche della batteria di un BlackBerry e novanta minuti d'aria.
I novanta minuti sono troppi, quelli del film intendo, si poteva anche dimezzare per evitare di risultare a tratti noioso, specie nella prima parte che è pure irritante nell'esasperazione delle attese telefoniche accompagnate poi da domande stupide, poco plausibili. Si poteva anche tagliare la scena del serpente, che appare veramente un riempitivo. Nonostante questa discreta prova di cinema dell'essenziale si poteva, insomma, ridurre ancora.
Passato questo primo stadio di indisposizione sale la tensione e la curiosità sul destino del giovane trasportatore disperso e sepolto in territorio di guerra.
Il rapporto con l'esterno (dalla bara, dalla scena, dall'io) mediato tramite il cellulare diventa un ramificarsi nelle “istituzioni” dell'individuo che nel momento del bisogno è solo perché le relazioni formali si rivelano illusorie ed inefficaci. Le telefonate diventano un emblema rappresentativo dello status individuale e la bara l'implicita impossibile rivolta, si può solo subire la situazione, in balia di eventi e decisioni “internazionali” o su cui comunque non si dispone di controllo.
La nuova violenza toglie lo spazio d'agire individuale, si impone come uno stato di terrore che soffoca e sopprime la vita senza spargere troppo sangue. La persona subisce una società ostile lasciata in eredità da genitori che ora, nella necessità, sono assenti o hanno dimenticato i figli (il padre morto e la madre con l'alzheimer), e dove le organizzazioni sono rese insensibili dal dio del massimo profitto (licenziamento dal direttore del personale).
La "macchina" è comunque in movimento nonostante gli spazi angusti, gira su un soggetto senza destinazione mentre i granelli di sabbia, come in una clessidra, scendono inesorabili filtrando dalle spaccature di una bara-gabbia fino allo scadere, quando rimane solo un inutile «mi dispiace tanto».
Gradito
| Reg: 7 | Rec: 7 | Fot: 6 | Sce: 6 | Son: 6 |

venerdì 19 novembre 2010

Spike Jonze per videoclip degli Arcade Fire


Guardando il video che il regista Spike Jonze ha realizzato per The Suburbs degli Arcade Fire mi è venuto in mente il testo di una canzone dei Tre Allegri Ragazzi Morti:
«Ogni adolescenza coincide con la guerra
che sia falsa, che sia vera
ogni adolescenza coincide con la guerra
che sia vinta, che sia persa...» (video)
La clip di Jonze è praticamente un corto che richiama efficacemente il contrasto fra l'energia vitalistica e spensierata al limite della demenza della giovinezza con la forza demolitrice della realtà del mondo "adulto"; la vita idealistica che si infrange nella vita reale.
«E così sempre sarà».

domenica 14 novembre 2010

The Eye

Una bella violinista cieca effettua un trapianto di cornea che le ridona la vista, ma inizia a mettere a fuoco anche immagini terrificanti che anticipano le morti di individui.
La signorina va alla ricerca della sua donatrice, per "vederci meglio"...
Questo è uno dei vari remake in versione statunitense di horror orientali che hanno avuto successo. Il risultato è praticamente sempre inferiore all'originale e pur non avendo visto la versione dei fratelli Pang, che poi hanno proseguito anche con un secondo e terzo capitolo, posso dedurre che anche in questo caso si sia seguita la regola.
Il dono di vedere - più degli altri - può essere una maledizione, e in questo caso praticamente qualsiasi occhio può avere la stessa sensazione guardando questo film. Rimarrà un unico piacevole ricordo: la scena della doccia di Jessica Alba nella sua migliore interpretazione dei 97 minuti di pellicola.
Sgradito
| Reg: 4 | Rec: 4 | Fot: 5 | Sce: 4 | Son: 4 |

venerdì 12 novembre 2010

Machete

machete locandinaMachete è un ex agente federale costretto da particolari eventi a rifugiarsi in Texas. Qui viene arruolato da un losco affarista per uccidere un politico xenofobo.
Scoprirà che in realtà è tutto un complotto per incastrarlo e rafforzare la campagna elettorale dell'interessato.
Il regista Robert Rodriguez è un tamarro d'origine messicana che non ha la classe di Tarantino, pur andandone a braccetto, e viaggia sul filo del trash, ma con un suo stile, riuscendo a intrattenere abbastanza bene quasi sempre; anche se stride pensare che passa da questi film al filone per bambini di Spy Kids!
Machete è "fiorito" dal fake trailer che precedeva Planet Terror come un funghetto velenoso dal letame, e risulta come un grido di rivincita per i messicani, fra machismo e denuncia sociale.
La funzionale trama ruota intorno al problema dell’immigrazione clandestina dal Messico agli Stati Uniti. A tenere in piedi le barriere c'è un legame fra politici corrotti, trafficoni e trafficanti, con quest’ultimi che impugnano le redini perché “più chiusi sono i confini, più alto sarà il prezzo della droga”.
In questo schema i messicani sono le vittime e Rodriguez mette in scena la sua rivoluzione dove “i buoni” sono loro e “i cattivi” gli americani. Alla cricca di delinquenti e corrotti viene infatti contrapposta una rete dormiente composta da messicani regolari e integrati (lavapiatti, manovali, giornalisti…) che guidati dai due leader leggendari, Luz e Machete, sono pronti all'assalto per la difesa dei loro diritti.
Questa è la tessitura seria, ma il gusto saporito viene da scene exploitation servite dal monolitico Denny Trejo, colonna portante de film, e da un cast assortito che prende la missione con un tocco autoironico. Ci sono Seagal, De Niro, e poi le tre ragazze: la good-girl Jessica Alba che offre il tanto atteso nudo virtuale, la revolution-girl Michelle Rodriguez novella Che Guevara, e la bad-girl Linsday Lohan che si interpreta nella vita di tutti i giorni e poi, per contrasto, si veste da suora.
Interessante la figura del prete, fratello di Machete, che registra le confessioni per usarle come prove e il metaforico sistema di telecamere a controllo della chiesa, con la postazione di monitor disposti a croce.
Machete offre un divertimento pungente come una salsa messicana, se vi provoca il voltastomaco l’uso di un intestino come fune, lasciate perdere, altrimenti prendete birra Corona & tacos e buona visione.
Seguiranno Machete Kills e Machete Kills Again, fake-sequel che richiamano la genesi e ci ricordano che Rodriguez non è un geniale regista ma solo un bravo e furbo esecutore.
Gradito
| Reg: 7 | Rec: 6 | Fot: 7 | Sce: 7 | Son: 7 |

martedì 9 novembre 2010

lunedì 8 novembre 2010

Dazed and Confused (La vita è un sogno)

la-vita-è-un-sogno28 Maggio 1976, Texas, ultimo giorno di scuola. I senior festeggiano la fine di un ciclo educativo e introducono i junior alla nuova realtà con la stupidità dei rituali di iniziazione.
Un giorno e una notte con un gruppetto di giovani post Sessantotto, un periodo che non sembra aver dato alcun indirizzo sul futuro e lasciato solo la moda di stordirsi con alcol e droghe al ritmo di musica e alla ricerca di sesso. Insomma è una notte rock’n’roll che ricorda American Graffiti di Lucas, ma senz’anima, in versione piatta, forse più reale. Non c'è un domani incombente e la nottata si fa iniziatica ma senza formazione.
Il ritratto è quello di una gioventù che si muove tanto per passare il tempo e che vede il vivere contrapposto al seguire regole. Ma senza regole non c’è indirizzo e si può solo vagare fino a ritrovarsi all’alba di un nuovo giorno storditi e confusi, Dazed and confused, proprio come la canzone dei Led Zeppelin che dà il titolo originale al film (da noi diventato un inadatto “La vita è un sogno”).
Il film va guardato in lingua inglese perché il doppiaggio italiano è risaputo essere mal realizzato. Da segnalare la presenza di Ben Affleck e Milla Jovovich giovinetti.
«Io sono qui solo per fare due cose: spaccare la faccia e bere birra, e la birra è quasi finita».
Gradito
| Reg: 6 | Rec: 7 | Fot: 7 | Sce: 6 | Son: 7 |

venerdì 5 novembre 2010

Marc'Aurelio d'oro 2010

kill me please
Conclusa la quinta edizione del Festival del Cinema di Roma ecco i premi:

martedì 2 novembre 2010

Vertigine (Laura)

Laura si dovrebbe sposare a giorni ma il suo corpo viene trovato senza vita davanti la porta del suo appartamento. Il poliziotto che deve indagare restringe subito il campo dei sospettati agli “amanti” della bella signorina. Poi Laura torna a casa come niente fosse…
Una donna ammaliante che fa innamorare al primo sguardo diventa il punto intorno a cui far girare la storia, un connubio di noir e sentimentalismo.
Film con una tensione leggera e costante, come movente dell'azione una passione trascinante. Basta poco per fare di passione possesso e, se non si può avere, allora "l'oggetto del desiderio" non deve poter essere di nessun altro.
C'è una caratteristica comune in molti vecchi film che funge da potente conservante mantenendo il loro fascino inalterato nel tempo: poggiano su una sceneggiatura solida. In questo caso si cerca l'ordine fra il disordine delle pulsioni amorose, la regia si fa discreta, segue, non indirizza, aspetta e lascia spazio alla fotografia assecondando il racconto giallo che si fa ironico, onirico e lirico.
Solo un dubbio rimane dopo la visione: ma se si intitolava Laura che bisogno c'era di rititolarlo Vertigine?
Deliziato
| Reg: 7 | Rec: 7 | Fot: 8 | Sce: 8 | Son: 7 |

lunedì 1 novembre 2010

Shadow

shadowDavid è stato in guerra in Iraq ma ora sta finalmente realizzando il suo sogno: fare biking in una zona crepuscolare e affascinante fra boschi e montagne.
Arrivato al Passo dell’ombra, dentro ad un rifugio, incontra una moretta che viene importuna da due cacciatori. Lui prende le sue difese e i due ceffi gli promettono una punizione.
Arriverà uno molto più cattivo ad accontentare tutti.
Avevo sentito parlare bene di questo secondo film di Zampaglione, ma il consiglio è un tiro mancino.
Il regista-cantante-autore si è scritto anche la colonna sonora, e non è malaccio, non fosse per l’aggiunta della canzone che fa “c'è una strada nel bosco, il suo nome conosco, vuoi conoscerlo tu?”. Ha avuto in me un effetto comico. Suggestiva anche la location montana.
È invece la storia a presentare cedevolezza, assurda fin dall’inizio con un rifugio dalla credibilità zero.
Tutti conosciamo almeno una ragazza che fa biking da sola in montagna... Normalissimo mettersi a contemplare un laghetto e amoreggiare improvvisamente, e dementemente, durante una fuga quando si è inseguiti da uomini armati. Soprassediamo sugli ormai classici: ci siamo persi, la bussola non funzione, beh allora, dividiamoci.
Con la seconda parte del film si passa dal sottogenere "survivor" al "torture", a dir la verità un po’ noiosetto nonostante arrivino le scene più cruente. Qui c'è anche l’aggancio esplicito al sotto-tema di critica sociale, con il rimando ai drammi umani dei vari conflitti recenti e passati. In particolare da segnalare il precedente taglio della palpebra, ossia la recisione di un filtro per l’occhio, atto di derivazione buñuelliana, che sottolinea il peso del "dover" vedere (il protagonista come testimone oculare/spettatore di atrocità).
Arriva il salvifico finale, l’escamotage, non certo originale, per ridurre l’effetto delle idiozie narrative e spazzare la sensazione beffa con una licenza “d’incubo”.
A me sembra che questo Shadow sia niente di più che il lavoretto di un appassionato del genere, che cita, omaggia e gira con un pizzico di furbizia e senza gran personalità.
Sgradito
| Reg: 5 | Rec: 5 | Fot: 6 | Sce: 4 | Son: 6 |